Siccità e cambiamenti climatici: come prevenire gli incendi e curare i territori, ripartendo dalla Sardegna
L’emergenza ambientale degli incendi in Sardegna sembra non ancora del tutto superata. E’ di pochi giorni fa la notizia di un vasto rogo che ha colpito l’oristanese, già messo a dura prova dagli incendi dell’agosto scorso.
Dei danni ambientali, della prevenzione e dei progetti di recupero delle zone devastate, ne parliamo oggi con la dottoressa Vania Erby, ingegnere di Cagliari presso Sardegna Ricerche, che si occupa di politiche ambientali da oltre un ventennio. Ideatrice del progetto “I bambini che piantano gli alberi” realizzato a Cagliari, appassionata di natura e spazi aperti, conoscitrice esperta della sua Sardegna, ha pubblicato recentemente un saggio dal titolo “L’unico mondo possibile” – “Dalla resilienza all’azione”, confronto e riflessione comune sul tema dell’ecologia e dei cambiamenti climatici, e sull’urgenza di sviluppare un agire comune a livello di comunità locale e internazionale per prepararsi a future situazioni di emergenza.
Gli incendi in Sardegna riaprono una profonda ferita sul territorio, si potevano evitare o quanto meno contenere? In che modo?
Gli incendi in Sardegna sono una piaga che colpisce il territorio da lunghissimo tempo, ma mai come questa estate le devastazioni hanno inflitto così grandi perdite in termini di attività locali, di patrimonio boschivo-forestale e zootecnico. Le cause sono senza dubbio molteplici e alcune di queste ovviamente potrebbero essere arginate con interventi di prevenzione e o mitigazione tempestive.
Il problema degli incendi è connesso a gravi situazioni di degrado ambientale, territoriale e alcune volte anche sociale, che da tempo interessano il territorio sardo legate principalmente all’incuria e all’abbandono di vaste aree interne del territorio.
Parlare a posteriori di quello che si sarebbe potuto fare è molto delicato, perché oltre alla causa principe, e cioè quella dei cambiamenti climatici, che risulta peraltro un problema globale, non arginabile localmente, tutte le altre cause possono essere ricondotte all’assenza di politiche ambientali, sociali e di tutela del territorio e del patrimonio boschivo che tengano conto delle specificità dei luoghi.
Certo molti incendi si sarebbero potuti contenere, senza arrivare a un tal livello di devastazione, se azioni di tutela del patrimonio forestale fossero state pianificate preventivamente, ma soprattutto se le politiche di sviluppo fossero state orientate ad una reale sostenibilità ambientale, sociale ed eco sistemica. Ci sarebbe un reale bisogno che le persone riprendessero a vivere i territori e se ne prendessero cura come accadeva in passato. E’ necessario che le nuove generazioni diventino consapevoli che l’economia deve passare prima di tutto dalla tutela delle risorse locali e dalla loro preservazione.
Siccità e cambiamenti climatici, renderanno questi eventi sempre più frequenti e disastrosi, quali sono le azioni concrete e immediate che suggerisce il mondo della ricerca per mitigarne gli effetti su popolazione e territorio?
Il mondo della ricerca, come mostra l’ultimo Panel IPCC, è coeso rispetto al fatto che l’attuale criticità climatica globale sia riconducibile all’azione dell’uomo a partire dalla rivoluzione industriale sino ad oggi. Il mondo scientifico pone l’attenzione sulla necessità di un piano globale, di un Green New Deal planetario che parli la stessa lingua e che sia in grado di avviare un cambio di rotta in tutti i processi che coinvolgono la vita degli individui sul Pianeta.
Non ci sono quindi singole azioni dedicate e specifiche che se messe in atto sarebbero in grado di risolvere i problemi della siccità e degli incendi che colpiscono le parti più calde del nostro Pianeta. Si ha per contro bisogno che tutte le azioni umane siano orientate verso un unico obiettivo comune e cioè quello di ridurre le emissioni arginando così l’incremento delle temperature medie nel prossimo decennio. Per fare questo, non si chiede al mondo di smettere di produrre ma piuttosto di rivedere ogni processo che interessa la vita degli esseri umani in un’ottica di risparmio delle risorse, secondo politiche di economia circolare che permettano al Pianeta di rigenerare le proprie risorse.
Si sta lavorando all’istituzione del reato di “eco-crimine”. Cosa manca a livello culturale e legale per la prevenzione di questi reati?
Il riconoscimento di questo reato a livello internazionale, europeo e di ogni stato membro, risulta indispensabile affinché si arrivi all’applicazione reale del principio che “chi inquina paga” veramente, ma soprattutto affinché le ragioni del profitto non siano più messe in primo piano rispetto alla tutela dell’ambiente, visto come un unicum tra società e territorio, e della vita tutta. La regolamentazione di questo reato costituirebbe una forma reale di prevenzione che potrebbe costituirsi come un vero deterrente verso azioni criminose nei confronti degli ecosistemi ambientali e verso la vita umana.
L’inserimento di questo reato, inoltre, se portato avanti comporterebbe per l’attuale legislazione un vero e proprio cambio di paradigma, e non solo da un punto di vista legislativo ma soprattutto da un punto di vista sociale. Molti individui, decisori e persone comuni, pensano all’immediato e non al futuro e alle condizioni in cui stiamo lasciando il Pianeta a chi verrà dopo di noi. Si pensa spesso e giustamente, soprattutto in situazioni di criticità sociale, ai problemi contingenti della vita come il lavoro e la casa, accettando spesso pesanti compromessi. Localmente penso alla Saras in Sardegna o all’Ilva a Taranto. In questi contesti, soprattutto nelle fasi iniziali di costruzione di questi stabilimenti, si è pensato alle ricadute economiche che queste attività potevano dare al territorio senza considerare i danni ambientali ad esse connesse. Credo profondamente che se il sistema Costituzionale e Legislativo avesse istituito in passato il reato di ecocidio in molte parti di Italia e del mondo non si avrebbero situazioni di criticità sanitaria e ambientale impossibili da gestire e da risolvere come siamo abituati a vedere oggi giorno.
Madre natura è grande, ma quanti anni ci vorranno per ripristinare biomassa e biodiversità andata in fumo in poche ore?
La Natura presenta una grande forma di resilienza e molte specie autoctone Mediterranee sono state create da madre Natura per reagire a situazioni di criticità come quelle degli incendi. Pensiamo alla quercia da sughero un albero presente su gran parte del territorio sardo, la natura ha dotato questa pianta di un rivestimento, appunto il sughero, capace di resistere ad altissime temperature, preservando la parte interna e le funzioni vitali della pianta.
C’è anche da precisare che l’intervento tempestivo, per quanto difficoltoso delle forze locali, vigili del fuoco, cittadinanza, barracelli e tanti altri, ha consentito di arginare le fiamme ma soprattutto che le stesse non andassero ad intaccare l’apparato radicale delle essenze vegetali. Dobbiamo pensare al fatto che le piante sono organismi modulari capaci di sopravvivere anche quando parti di esse vengono recise o danneggiate. Queste armi di cui ha dotato Madre Natura le piante consentono loro di rinascere a nuova vita anche dopo eventi che apparentemente potrebbero averle colpite a morte. Per questo è necessario aspettare il prossimo periodo autunnale e la prossima primavera per stimare i danni occorsi a causa degli incendi estivi. Gran parte della vegetazione arbustiva infatti sin dopo le prime piogge ha iniziato a rigettare. Ci auguriamo che le specie in grado di farlo e rinascano presto a nuova vita.
E’ doveroso tuttavia precisare che le perdite in termini di capacità di far respirare questo nostro pianeta grazie agli alberi (pensiamo che ogni anno un singolo albero adulto può assorbire 0,01 t di CO2), in termini economici e di patrimonio forestale sono incommensurabili e ingenti. Confido che l’unione di forme di resilienza congiunta tra Natura ed esseri umani possa dare grandi risultati e recuperare in tempi limitati gran parte delle perdite che sono state inflitte a questi territori, non importa ormai per mano di chi.