Foreste tropicali: ogni cittadino dei Paesi del G7 “consuma” 4 alberi l’anno
L’80% della deforestazione mondiale dipende da ciò che mangiamo, beviamo e da come ci vestiamo. E questo avviene soprattutto per effetto degli eccessivi consumi da parte dei paesi più industrializzati, i cui stili di vita sono ancora incompatibili con la disponibilità di risorse del pianeta.
E’ quanto emerge da una ricerca del Japanese Research Institute for Humanity and Nature di Kyoto, pubblicata sulla rivista Nature Ecology and Evolution. La stessa evidenzia come la voracità di una serie di Paesi ricchi ha spinto i Paesi più poveri ad aumentare i loro livelli annuali di deforestazione per garantire l’export commerciale.
Sotto accusa gli abitanti dei Paesi del G7 (Usa, Regno Unito, Francia, Germania, Canada, Giappone e Italia). Infatti, per soddisfare consumi di legname, carne, olio di palma, cacao e soia, ogni anno sono responsabili, in media, della perdita di quattro alberi ciascuno provenienti dalle foreste tropicali. I risultati della ricerca sono stati raggiunti attraverso una complessa combinazione di dati sulla deforestazione nel mondo, le osservazioni spaziali, i flussi del commercio internazionale e le abitudini dei consumatori fra il 2001 e il 2015. In questo modo i ricercatori Keiichiro Kanemoto e Nguyen Tien Hoang sono riusciti a definire dove si tagliano le foreste, per coltivare che cosa e per soddisfare i bisogni di chi.
Dal cacao al manzo, gli esempi negativi
Il consumo di cioccolato nel Regno Unito e in Germania impatta sulle foreste del Ghana e della Costa d’Avorio, quello di frutta e noci negli Stati Uniti sulle foreste del Guatemala, quello di caffè in Italia, in Germania e negli Stati Uniti sulle foreste del Vietnam. Anche il disboscamento in Tanzania spesso è conseguenza della domanda di semi di sesamo del Giappone. Così come quello nel Laos della richiesta di gomma della Cina, quello in Brasile della domanda di soia e manzo dei Paesi europei e degli Stati Uniti, quello in Vietnam della richiesta di legname per la Corea del Sud, la Cina e il Giappone.
Consumismo e deforestazione
La ricerca ha inoltre messo in luce anche un paradosso. Mentre il ritmo della deforestazione globale sta rallentando, i Paesi più ricchi aumentano la domanda di prodotti coltivati a discapito delle foreste tropicali. Ciò, nonostante sia ormai chiaro il ruolo determinante delle foreste nell’assorbire CO2 e combattere il riscaldamento globale.
Secondo il ricercatore Nguyen Tien Hoang, nonostante il crescente riconoscimento della gravità della deforestazione nei Paesi in via di sviluppo, le impronte di deforestazione delle nazioni ricche sono rimaste sostanzialmente invariate dal 2000.
Le responsabilità dei Paesi ricchi
Dagli Usa che causano la perdita di cinque alberi per ogni cittadino, ai cittadini di Cina e India che provocano invece la perdita di un solo albero a testa. Lo studio sottolinea, in conclusione che «la perdita di alcune piante ha un impatto biologico ed ecologico maggiore rispetto a quella di altre. Ovvero, l’impatto ambientale di tre alberi dell’Amazzonia potrebbe essere più grave rispetto a quello di 14 nelle foreste boreali della Norvegia.
Secondo i ricercatori, affinché la deforestazione subisca un reale rallentamento, i Paesi ricchi devono fare di più per proteggere le foreste dei Paesi più poveri. La pandemia di coronavirus e l’incremento globale della disoccupazione hanno reso ancora più difficile la conservazione delle foreste nei Paesi in via di sviluppo. La speranza dei ricercatori è che i risultati dello studio siano di supporto in futuro per un cambiamento delle dinamiche di consumo attuali.