Fermare i cambiamenti climatici per salvare il mare (e quindi anche la Terra)
Oggi torniamo a parlare di cambiamenti climatici e delle sue conseguenze negative sull’equilibrio degli ecosistemi marini, e per la minaccia che rappresentano anche per l’incolumità dell’uomo.
Lo faremo riportando, in più articoli, la sintesi di un interessante contributo scientifico di Antonello Pasini, fisico del clima presso il CNR, realizzato in collaborazione con l’organizzazione ambientalista Greenpeace Italia.
Greenpeace ha avviato, infatti, poco più di un anno fa all’isola d’Elba il progetto “Mare Caldo” – una rete di stazioni per il monitoraggio delle temperature marine e per studiare gli impatti dei cambiamenti climatici in mare. Successivamente la rete si è allargata anche in Sicilia, Capo Carbonara, a Villasimius e Tavolara – Punta Coda Cavallo in Sardegna, e a Portofino in Liguria.
Cosa sta succedendo
In tutto il mondo, la temperatura del mare sta aumentando e sempre di più a causa del riscaldamento globale dovuto principalmente all’aumento di concentrazione dei gas serra nell’atmosfera.
A differenza di quanto avviene sulla terraferma, l’acqua resiste di più al cambiamento di temperatura perché, come sostengono i fisici, il calore si rimescola un po’ con gli strati più profondi, distribuendovi parte del calore incamerato. Infatti, se la temperatura media globale alla superficie del pianeta è aumentata di circa 1°C nell’ultimo secolo, quella della superficie del mare è cresciuta “solamente” tra 0,7 e 0,8°C.
Questo valore è stato però sufficiente per creare una dilatazione termica dell’acqua che ha contribuito, finora, a oltre il 40% dell’aumento del livello del mare, minacciando seriamente soprattutto le popolazioni che vivono nelle regioni costiere. Si stima, infatti, che circa 800 milioni di persone residenti in oltre 570 città costiere siano particolarmente vulnerabili a un innalzamento del livello del mare che nel 2050 potrebbe raggiungere 0,5 metri.
Mari e oceani sono un enorme “magazzino” per il calore assorbito dal pianeta e svolgono quindi un ruolo centrale come regolatori della temperatura terrestre e del nostro clima. Essi contribuiscono, inoltre, a non far aumentare ancora di più la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, in quanto assorbono circa un terzo della CO2 da noi emessa.
Ma in certe condizioni mari e oceani possono influenzare i fenomeni che in essa avvengono, contribuendo a generare eventi metereologici particolarmente violenti e distruttivi.
Gli oceani, quindi, da un lato sono uno dei nostri migliori alleati contro i cambiamenti climatici, dall’altro ne subiscono purtroppo le conseguenze con gravi possibili impatti anche sulla nostra vita.
La chimica del mare va in “tilt”
In questo lavoro incessante di assorbimento dell’anidride carbonica, l’acqua diventa un po’ più acida. Questa acidificazione risulta molto critica al di sotto di certe soglie di pH, potendo determinare lo scioglimento o la mancata formazione dei gusci calcarei di cui sono fatti molti animali, tra cui buona parte di quelli che formano il plancton, che è la base della catena alimentare in mare di moltissime specie.
La zona mediterranea è considerata, dagli scienziati del clima, un “punto caldo”, favorevole alla permanenza di anticicloni africani che consentono un maggior riscaldamento delle temperature superficiali del mare. Diversi studi dimostrano un aumento graduale delle temperature anche nei mari italiani di circa 2°C negli ultimi 50 anni.
Questo aumento di temperatura sta lentamente trasformando il Mediterraneo in un mare sempre più “tropicale”, rendendo le nostre acque più adatte a specie tropicali che influenzano gli ecosistemi marini con gravi effetti sulla biodiversità.
Per questo sono sempre più frequenti fenomeni di mortalità di massa, epidemie e un graduale spostamento verso nord di specie tipiche di mari più caldi, spesso completamente estranee ai nostri mari.
Per fortuna il fenomeno dell’innalzamento del livello del mare nel Mediterraneo è minore rispetto ad altri mari. L’acqua del nostro bacino è infatti più salata e pesante rispetto a quella degli oceani, mentre le sempre più frequenti alte pressioni di origine africana “comprimono” costantemente il mare dall’alto verso il basso, temperando il suo innalzamento.
Nei prossimi giorni, torneremo a parlare della relazione fra i cambiamenti climatici e gli eventi meteorologici estremi.