Clima: più pioggia e meno neve nell’area dell’Artico
L’area dell’Artico potrebbe vedere più pioggia che neve prima del previsto, con conseguenze importanti sul clima, sugli ecosistemi e su fattori socio-economici. Lo rivela un recente articolo pubblicato su Nature.
Gli studi
Diversi studi sono concordi sul fatto che durante il ventunesimo secolo le precipitazioni nella regione Artica tenderanno ad aumentare. Infatti, si prevede che entro il 2100 potrebbero aumentare dal 30% fino al 60%.
Si tratta di un cambiamento epocale le cui conseguenze non saranno limitate all’Artico ma si faranno sentire in tutto il globo. Lo rivela, ad esempio, uno studio dell’università di Manitoba pubblicato su Nature Communications. Valutare con precisione queste conseguenze per ora è impossibile. Così, non sappiamo quanto, ma sappiamo cosa cambierà.
Come abbiamo raccontato, ad agosto del 2021 per la prima volta da quando sono iniziate le osservazioni. Infatti, è caduta pioggia invece che neve ad oltre 3000 metri sul ghiacciaio in Groenlandia. Le temperature rilevate dalla stazione meteo posta sul summit sono infatti aumentate fino a superare lo zero per la terza volta in meno di 10 anni.
Gli effetti
Avere meno neve significa un’area più vasta di Artico non ghiacciato. Inoltre, la neve, bianca, riflette molto le radiazioni solari, mentre le acque marine ne assorbono decisamente di più. Ci sarà quindi un’accelerazione del riscaldamento globale generato dall’aumento dell’energia incamerata dall’Artico. Scioglimento dei ghiacci, compresi quelli terrestri, che porterà all’innalzamento del livello dei mari in tutto il mondo. Ciò comporta anche che si scioglierà più rapidamente il permafrost, che racchiude ingenti quantità di metano ma anche agenti patogeni pericolosi per l’uomo come l’antrace.
Un Artico con più pioggia che neve, e quindi più caldo, renderà ancora più intensi e frequenti gli estremi climatici fuori dalla regione. Si modificherà così la corrente a getto, le cui oscillazioni verso sud sono associate a piogge torrenziali e ondate di calore estreme in Europa, Asia e America del Nord, ma anche a ondate di freddo inusuale come quella che ha congelato il Texas e il Messico settentrionale lo scorso febbraio.
Questo cambiamento potrebbe ridurre la durata del manto nevoso, e variando quindi la stagionalità, i processi naturali dell’ecosistema, e di conseguenza il benessere delle specie e popolazioni locali.