Riscaldamento globale: instabile anche il più antico dei ghiacciai artici
L’anno che si è appena concluso sarà ricordato anche per un altro inquietante primato, quello di essere stato uno degli anni più caldi, alla pari del 2016, dell’ultimo decennio (dal 2011).
A confermare il fenomeno del riscaldamento globale è il Copernicus Climate Change Service (C3S), il programma di osservazione della Terra dell’Unione europea. Mentre il Copernicus atmosphere monitoring service (Cams) ha registrato, nel 2020, concentrazioni record di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera (se alte sono responsabili del “global warming”).
La scoperta di alcuni ricercatori di Toronto
Il riscaldamento globale rischia di essere fatale per alcune aree del pianeta, per le popolazioni che ci vivono e la fauna locale. Come ad esempio lo stretto ghiacciato di Nares che separa la Groenlandia dal Canada, l’ultimo baluardo dei ghiacci artici che appare molto instabile.
La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Communications, si deve ai ricercatori coordinati dal fisico Kent Moore, dell’Università canadese di Toronto. La conferma arriva anche dai dati del satellite Sentinel 1 del programma europeo Copernicus, che mostrano un’instabilità dei ghiacci nell’area aumentata negli ultimi 20 anni.
“Siamo molto preoccupati”, rileva Moore. “Lo stretto di Nares è la più antica e più spessa distesa di ghiaccio della regione artica e fino a oggi è riuscita a sopravvivere anche alle estati più calde mai registrate”. Ma la ricerca sta dimostrando che quest’area sarebbe diventata molto vulnerabile a seguito dei cambiamenti climatici.
Gli archi di ghiaccio che fanno da diga
Sulla base dei dati provenienti dal satellite Sentinel 1 del programma Copernicus – gestito da Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Commissione Europea – i ricercatori hanno esaminato la stabilità di strutture chiamate archi di ghiaccio che si formano stagionalmente all’estremità settentrionale e meridionale dello stretto di Nares.
Queste strutture sono una protezione naturale che impedisce al ghiaccio marino di uscire dall’Oceano Artico e andare alla deriva verso sud. Ma negli ultimi 20 anni gli archi di ghiaccio sono diventati più sottili e ogni anno si rompono una settimana prima rispetto all’anno precedente, abitualmente durante la primavera. Questo potrebbe destabilizzare l’area più a nord definita Last Ice Area e le specie dipendenti dal ghiaccio, dagli orsi polari alle alghe ghiacciate che forniscono ossigeno e nutrienti all’ambiente.