Ecosistemi naturali: declino pericoloso della fauna selvatica a livello globale
Una perdita di esemplari di quasi due terzi solo negli ultimi 40 anni, dovuta al sovra sfruttamento da parte dell’uomo degli habitat naturali dove hanno vissuto, indisturbati, per migliaia di anni, popolazioni globali di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci.
E’ questo l’allarme del Living Planet Index (LPI), fornito dalla Zoological Society of London, che mette in evidenza i fattori ritenuti in grado di aumentare la vulnerabilità del pianeta alle pandemie. Tra questi il cambiamento dell’uso del suolo, l’utilizzo e il commercio di fauna selvatica.
Da sole queste azioni hanno determinato il crollo del 68% delle popolazioni di vertebrati tra il 1970 e il 2016.
Il WWF chiede azioni urgenti
Il WWF ha recentemente chiesto un’azione urgente affinché si inverta questa rotta pericolosa entro il 2030. E’ necessario che tutte le nazioni pongano un freno alla distruzione degli ecosistemi naturali e rivedano l’intero sistema di produzione e consumo del cibo.
Le analisi del WWF sul Pianeta ‘parlano di gorilla, orsi, pappagalli, tartarughe e storioni, tutti elementi fondamentali degli ecosistemi grazie ai quali l’umanità vive.
Purtroppo i due aspetti, economico e ambientale, a cui aggiungere quello sanitario, non sono affatto disgiunti: la natura è essenziale per l’esistenza umana ed è proprio su di essa che si basa l’intera economia, sui suoi servizi che garantiscono sicurezza alimentare, riduzione degli impatti dovuti agli eventi naturali, acqua potabile, salute e medicine, solo per citarne alcuni.
L’importanza del Living Planet Report
Lo sottolinea il WWF al livello internazionale come strumento fondamentale per misurare la riduzione delle popolazioni globali di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci. L’analisi 2020 mostra un calo medio di due terzi avvenuto in meno di mezzo secolo, causato in gran parte dalla distruzione degli ecosistemi che sta anche contribuendo all’emergere di malattie zoonotiche come il COVID-19.