Fermare la strage degli squali: al via la campagna europea contro pesca illegale e commercio delle pinne
Fermare la pesca illegale e le pratiche crudeli come il finning , che mettono a repentaglio la sopravvivenza degli squali, la cui popolazione di alcune specie si è ridotta del 90%.
E’ questo l’obiettivo della campagna a livello comunitario che punta a invertire la rotta e a riabilitare l’immagine di predatore cattivo grazie e a sottolinearne l’importanza per l’ecosistema.
Una specie su quattro a rischio di estinzione
Sono più di 450 le specie di squali che nuotano negli oceani ma tutte in preoccupante declino. Un problema serio, perché si tratta di un predatore apicale, cui è affidato, tra gli altri, il compito di tenere il mare in salute perché gli squali controllano che alcune specie non si riproducano troppo e a scapito delle altre.
Il problema della pesca illegale e del finning
Mentre sappiamo gli effetti delle pratiche illegali, anche la pesca legale danneggia l’ecosistema. Verdesca, palombo e spinarolo si trovano facilmente sui banchi del mercato nonostante si tratti di specie a rischio o minacciate.
Spesso gli squali vengono catturati grazie alle reti, a strascico gettate per catturare altri pesci, come i tonni. E la loro biologia non aiuta. I cicli riproduttivi degli squali sono piuttosto lunghi: possono comparire anche dopo i primi vent’anni di vita, con un numero medio di una decina di piccoli a parto. Se non si rispettano questi tempi si impatta gravemente sulla conservazione della specie.
E poi c’è il finning, la pratica estremamente crudele di rimuovere le pinne con una lama, ributtando l’animale sanguinante in mare. Non riuscendo a nuotare il pesce, agonizzante, affonda e muore.
Tutto per soddisfare la richiesta del mercato orientale dove la zuppa di pinne di squalo è un piatto tradizionale e molto costoso, oltre che uno status symbol. Una porzione può costare anche l’equivalente di novanta euro.
Dall’Europa lo stop al commercio di pinne
Per contrastare il fenomeno, è nato in Germania StopFinningEu, un coordinamento transnazionale che ha lanciato una raccolta di firme online utilizzando lo strumento di democrazia partecipativa messo a disposizione dall’Unione. Uno strumento che i cittadini utilizzano per rivolgersi direttamente alla politica:
La raccolta è stata avviata nel 2020 e doveva terminare nel 2021, ma è stata prorogata di un anno per la pandemia. La chiusura è il 31 gennaio (questo il link per firmare). L’obiettivo di almeno un milione di firme in tutta la UE è stato raggiunto ma si può ancora votare per dare più forza all’iniziativa.
Con questa proposta si chiede di abolire completamente il commercio delle pinne di squalo nell’Unione. Anche se esiste già un regolamento del 2013 che ne impedisce senza eccezioni lo stoccaggio, il trasbordo e lo sbarco nelle acque dell’Unione e su tutte le navi europee, i controlli sono scarsi. Oggi le pinne possono ancora essere vendute a patto di essere staccate dalla carcassa solo una volta a terra. “Con questa iniziativa” – dicono gli organizzatori – “vogliamo aggredire il problema puntando sull’aspetto economico e vietare totalmente l’esportazione, l’importazione e il transito delle sole pinne di squali e razze, introducendo l’obbligo che il pesce sia venduto intero: in questo modo diventa sconveniente dal punto di vista logistico-finanziario”.
Secondo StopFinningEu solo l’Unione esporterebbe 3.500 tonnellate di pinne di squalo l’anno, per un valore complessivo di circa 52 milioni di euro. Gli squali uccisi nello stesso periodo a livello globale sarebbero tra i 63 e i 273 milioni. Tra gli Stati che hanno già approvato leggi contro il finning ci sono Stati Uniti, Canada, India e Sudafrica. In molti altri l’attività è ancora permessa. Tra il 2007 e il 2017 l’Indonesia è stato il primo Paese al mondo per caccia agli squali, seguita dalla Spagna. L’Italia è il quarto importatore di carne di squalo, avanti alla Cina, mentre i primi tre posti nell’elenco sono occupati da Brasile, Spagna e Uruguay.