Pesca a strascico: responsabile di un miliardo di tonnellate l’anno di CO2
Inquina come il traffico aereo mondiale ed è responsabile dell’emissione di un miliardo di tonnellate di CO2 ogni anno. E’ questo l’impatto sull’ambiente provocato dalla pesca a strascico, secondo uno studio realizzato da un’equipe di 26 biologi marini e pubblicato recentemente dalla rivista Nature.
Abbiamo più volte evidenziato come i mari e gli oceani svolgano un importante lavoro di assorbimento dei gas serra emessi in atmosfera. Il carbonio si deposita nei sedimenti, restando imprigionato lì senza dar fastidio a nessuno, fino a quando però le reti di questo metodo di pesca non lo liberano arando i fondali.
Il carbonio “liberato” ritorna nell’aria e una parte resta in acqua, rendendo acido l’ambiente marino. L’Italia è il terzo Paese al mondo in questo tipo di emissioni dopo Cina e Russia.
Gli effetti della pesca a strascico
Le reti trascinate da una o due barche, arano il fondale per smuovere il sedimento dove si nascono le tane dei pesci distruggendo quasi tutto quello che incontrano: dai coralli alle alghe senza distinzione tra esemplari adulti e giovani, indebolendo il ripopolamento ittico. Nelle reti a strascico finiscono anche specie il cui commercio è vietato dalle convenzioni, come cetacei, tartarughe, o specie in estinzione.
I dati della Fao parlano di oltre 60 specie di squali e razze intrappolate dallo strascico e spesso condannate a morte a seguito dei danni subiti. E’ anche un business redditizio, per questo molto praticato: rappresenta infatti il 37% del totale pescato, ma in termini economici pesa il 54% del totale: 480 milioni su 891,7 milioni.
La flotta italiana di pescherecci a strascico e la più grande del Mediterraneo: 2.086 su un totale di 12.101, vale a dire il 17,2% di tutta la flotta nazionale, ed è quella che ha resistito di più alla crisi, perdendo lo 0,2% contro il 9,8% del totale. La sua insostenibilità è anche in termini di consumo di gasolio: è il tipo di pesca che in assoluto consuma più carburante.
Per non parlare dell’inquinamento dalle reti abbandonate. Con le reti di canapa o cotone utilizzate fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento non impattava sull’oceano perché nel giro di qualche anno si trasformavano in cibo per i pesci. Con l’introduzione delle reti in nylon, l’impatto per gli ecosistemi marini è stato devastante. Se queste reti, accidentalmente o volontariamente vengono abbandonate (perché è costoso smaltirle), restano nei mari fino a 600 anni trasformandosi in micro plastiche che finiscono nella catena alimentare del pescato, e quindi nei nostri piatti. Sono le cosiddette “reti fantasma” trascinate per chilometri dalle correnti dove restano imprigionati anche mammiferi marini, coralli, ma anche uccelli.
Secondo i dati Fao e del Programma IUCN, circa 640.000 tonnellate di reti da pesca sono alla deriva negli oceani, e rappresentano il 10% di tutti i rifiuti.
Le alternative esistono ma sono meno redditizie
Si potrebbero utilizzare le nasse, delle specie di gabbie che vengono deposte sul fondo, o le «reti da posta», che non vengono trascinate, ma anche queste depositate sui fondali, con reti dalle maglie un po’ più larghe per evitare l’intrappolamento di pesci molto piccoli che spesso vengono scartati perché morti e invendibili.
Il problema non è quindi il metodo di pesca, quanto la riduzione del fatturato, stimato intorno al 22,8%.
Il mare è “la terra di nessuno”
Fermo biologico, riproduzione dei pesci, divieto di pesca nelle aree marine protette, divieto di pesca entro i 3 km dalla costa o a meno di 50 metri di profondità. Le regole ci sono ma i controlli scarseggiano. E i pescatori corretti, pescano sempre meno perché il pesce non si trova più.
Secondo lo studio pubblicato da Nature, solo il 2,7% dei mari è protetto e per eliminare il 90% dei rischi connessi alla pesca a strascico, sarebbe necessario proteggere almeno il 4% degli oceani all’interno delle acque nazionali.
Basterebbe proteggere il 30% dei mari per ripristinare la biodiversità negli habitat oceanici e aumentare la quantità globale del pescato annuo di 8 milioni di tonnellate.
Nel prossimo appuntamento di ottobre a Kunming, in Cina, promosso dalle Nazioni Unite, il mondo discuterà proprio della Convenzione sulla diversità biologica.