Eventi meteorologici estremi: la relazione con i cambiamenti climatici
In un articolo del 3 febbraio, abbiamo parlato delle conseguenze negative dei cambiamenti climatici sull’equilibrio degli ecosistemi marini, e per la minaccia che rappresentano anche per l’incolumità dell’uomo. Lo abbiamo fatto prendendo spunto da un’interessante ricerca di Antonello Pasini, fisico del clima presso il CNR, realizzata in collaborazione con Greenpeace Italia.
La ricerca ha analizzato ciò che sta avvenendo nella zona mediterranea diventata, secondo gli scienziati del clima, un “punto caldo”, favorevole alla permanenza di anticicloni africani che consentono un maggior riscaldamento delle temperature superficiali del mare.
Mare più caldo, fenomeni meteo più violenti
Oltre che per l’innalzamento del livello del mare e per la vita acquatica, questo enorme incameramento di energia ha conseguenze su quanto accade in atmosfera, dove avvengono i fenomeni meteorologici. Gli effetti di un mare più caldo sono sostanzialmente due. Da un lato il mare evapora di più, ma le molecole di vapore acqueo sono proprio il “materiale di costruzione” delle nubi, che sono fatte di vapore d’acqua condensato in acqua liquida o divenuto addirittura ghiaccio.
Quindi in presenza di maggiore evaporazione si formano più nubi da cui cade la pioggia. A questo punto il mare trasferisce più calore (che è una forma di energia) all’atmosfera e quest’ultima, per le ragioni della termodinamica, scarica violentemente questa eccedenza di energia sul territorio con piogge molto intense e venti forti.
I fenomeni meteorologici possono diventare più violenti, come si osserva nell’Oceano Atlantico, dove negli ultimi 40 anni gli uragani più forti sono aumentati almeno del 15%, proprio in corrispondenza all’aumento delle temperature della superficie oceanica su cui nascono e si sviluppano.
Anche in presenza di una variabilità naturale nelle temperature degli oceani, la tendenza di lungo periodo è all’aumento.
Anche nel Mediterraneo arrivano gli uragani
Nel nostro mare troviamo fenomeni analoghi, i cosiddetti Medicanes (Mediterranean Hurricanes) che sono per fortuna più piccoli e meno distruttivi degli uragani atlantici.
Ondate di calore e prolungate siccità stanno determinando seri problemi alla salute umana e alla produzione agricola, rendendo sempre più gravi gli impatti del cambiamento climatico. E nel Mediterraneo, a causa dell’espansione verso nord della circolazione equatoriale e tropicale dovuta al riscaldamento globale di origine umana, vi è sempre più spesso l’arrivo di “feroci” anticicloni africani che, quando poi si ritirano sul nord Africa, lasciano la strada aperta ad afflussi freddi da nord.
Condizioni di questo tipo, con alluvioni improvvise sono piuttosto diffuse, soprattutto al nord Italia ma non solo, con notevoli danni e perdite di vite umane, mostrano chiaramente come questi fenomeni in futuro possano divenire più intensi, e forse anche più frequenti.
L’acqua alta a Venezia e l’effetto tappo
Il trend degli ultimi 20 anni delle acque alte nella laguna di Venezia è preoccupante. Dagli anni ’50, la loro frequenza è aumentata in maniera esponenziale, fino a raggiungere il numero di 52 nel decennio 2000-2019 e addirittura di 95 nel periodo 2010-2019. I cambiamenti di circolazione di aria dovuti al riscaldamento globale, rendono più frequenti gli afflussi sciroccali sul mar Adriatico. In queste situazioni l’acqua viene spinta dallo stretto di Otranto verso la laguna veneta e si assiste ad un effetto “tappo” che non consente il deflusso delle acque e fa aumentare il livello delle acque alte.
Quali sono le misure che possiamo adottare per mitigare questi fenomeni ed evitare crisi ben peggiori dell’attuale pandemia? Ne parliamo nel prossimo articolo. Seguiteci!